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Gli sport acquatici nell’antichità: una passione ininterrotta
Le prime testimonianze storiche
Che non siamo pesci è un dato di fatto, che la nostra respirazione avvenga in aria altrettanto. Ma che il nostro legame con l’acqua sia indissolubile è innegabile e fin dall’antichità l’uomo ha dovuto confrontarsi con questo elemento, un po’ per necessità e un po’ per la voglia di superare i propri limiti fisici.
Nuotare, per quanto possa sembrare innaturale, è però una pratica antica quanto l’uomo, almeno stando alle numerose testimonianze giunte fino a noi. Risalgono per esempio a oltre 6.000 anni fa alcuni disegni di tuffatori e nuotatori rinvenuti nei pressi di Wadi Sura, in Egitto, e all’880 a.C il bassorilievo di Ninive, conservato oggi al British Museum di Londra, raffigurante tre guerrieri che fuggono attraversando a nuoto un braccio d’acqua.
Sempre in Egitto, un antico sigillo datato tra il 4.000 e il 9.000 a.C., mostra quattro nuotatori intenti in quella che sembra una variante del moderno crawl. Ma di attività natatorie (in alcuni casi anche coreografiche, quindi antisignane del nostro moderno nuoto sincronizzato) si parla anche nell’Iliade, nell’Odissea e nella Bibbia: nuoto, tuffi e immersioni sembra siano sempre stati praticati. Anche in Italia, a Paestum, abbiamo testimonianze del genere, come rappresentato nella Tomba del Tuffatore, risalente probabilmente al 480 a.C. Addirittura pare che nell’antica Roma esistessero già delle piscine, le cosiddette natatio, le cui dimensioni andavano dai 4 ai 90 metri!
Dalla luce al buio del Medioevo
Il nuoto inteso come disciplina sportiva compare nei Giochi Olimpici di Atene soltanto nel 1896 ma anticamente ebbe senza dubbio un ruolo nell’addestramento militare prima ancora che una connotazione ludico-sportiva. Perfino Platone ne parla come dell’attività più completa, tanto da reputarla necessaria nell’educazione dei bambini fin dalla più tenera età. Anche la pratica di immergersi, soprattutto a fini di raccolta e pesca, ha origini antiche: da oltre 1.500 anni, ancora oggi, le donne giapponesi della baia di Ise, si tuffano per raccogliere perle, crostacei, alghe e molluschi, rimanendo in apnea per molto tempo. Arrivano fino a 25 metri di profondità e si allenano per questa pratica fin da bambine, immergendosi fino a quasi 60 anni.
C’è solo un periodo storico nel quale si perdono le tracce di qualunque attività natatoria, il Medioevo. Anzi, pare che in questo periodo l’acqua fosse considerata dannosa, portatrice di malattie, addirittura diabolica, tanto che qualcuno sostiene si sia sviluppato in questo momento storico il nuoto “a rana”, proprio per evitare qualunque contatto se non superficiale con l’elemento acquatico. Il nuotatore non era più visto come un eroe capace di superare i propri limiti fisici, ma come un povero disgraziato in balia dell’acqua.
Acqua e uomo: un legame indissolubile
Bisogna attendere l’Ottocento perché molte delle pratiche legate all’acqua vengano riconosciute come vere e proprio sport, tanto da diventare poi negli anni elementi portanti delle Olimpiadi. Oggi sono innumerevoli: da tutte quelle legate al nuoto ed eseguite in piscina, come il nuoto sincronizzato, i tuffi e la pallanuoto, a quelle tipiche del mare aperto con attività che spaziano dal surf alla canoa, dalla vela allo sci nautico, alle immersioni in apnea.
L’acqua, vitale per tutti noi, è sempre stata e sempre sarà uno degli sfoghi principali per l’uomo, l’unico elemento in cui rinfrancare il corpo e la mente. Facciamoci un bagno, lasciamoci cullare dalle onde e godiamo del suo potere rigenerante.